Secondo la
tradizione popolare “l’ozio padre dei vizi”.
La
santificazione del lavoro a partire dall’etica protestante, rafforzata
dall’opposizione della borghesia alle oziose classi nobiliari, ha contribuito
ad alimentare la visione negativa dell’ozio.
Ma l’uomo
davvero trova la sua piena realizzazione nel lavoro?
Sono cresciuta con una visione del lavoro di tipo
“calvinista” ed ho sempre considerato il lavoro un veicolo di emancipazione.
Ma il lavoro ci
rende davvero liberi? Il ruolo sociale del lavoro sta cambiando.
Mi accorgo che siamo
sempre più insofferenti sul luogo di lavoro e cerchiamo con affanno nuovi spazi
e nuovi modi per esprimerci.
Il proliferare
di attività “fuori orario”, dal bricolage ai corsi di ogni genere, sembrano
dare una risposta attiva a questo
malessere.
Così nel tempo
libero ci affatichiamo e accumuliamo altro stress, nel tentativo di stare
meglio, attraverso pilates, yoga, jogging, bricolage….
Al lavoro come “veicolo
di mediazione sociale” dovremmo pensare di alternare l’ozio come stile di vita per
recuperare il piacere di stare in compagnia, conversare, mangiare insieme.
L’ozio, inoltre,
pare alimenti la creatività. Secondo Andrew Smart il “dolce far niente”serve
per produrre nuove idee.
Occorre quindi
oziare per innovare!
Mi chiedo
allora se non valga davvero la pena
recuperare il piacere di oziare e ritornare a quel sano “otium” latino;
fermarsi per pensare, riappropriarsi del tempo per cercare di migliorare la qualità
della vita.
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