Approdo
al porto di Saranda, bel posto, comodo, in banchina, scendi e sei subito sul
lungo mare.
Pago la
rituale “tassa di soggiorno” non bene identificata e rigorosamente senza
ricevuta, e scendo a terra.
Saranda, di fronte a Corfù,
anticamente conosciuta con il nome di Onhezemi, in epoca medievale fu un’attiva
comunità cristiana, prende il nome dal monastero sulla collina dei quaranta
santi (Aghii Saranda).
Denominata Porto Edda, in onore
della primogenita di Mussolini, ai tempi in cui l’Albania era protettorato
italiano, subì un incremento demografico durante il periodo comunista, oggi
Saranda sta vivendo un periodo di boom edilizio.
Saranda è una rinomata località
di villeggiatura per gli Albanesi che sta cercando di affermarsi e diventare un
centro di attrazione anche per il turismo internazionale.
Grandi alberghi, a cinque
stelle, si affacciano sul mare lungo l’ampia baia.
Saranda è una piccola
Montecarlo, con un bellissimo lungomare pieno di ristoranti e bar alla moda.
Aliscafi provenienti dalla
vicine isole della Grecia sbarcano greggi di turisti, intruppati in minibus per
visitare in giornata i Blu eyes, splendide pozze d’acqua immerse nel verde e
gli scavi di Butrinto.
Il sito archeologico di
Butrinto, patrimoni dell’Unesco, a pochi chilometri da Saranda, testimonia la
storia dalla metà del primo millennio a.C. fino al dominio turco.
I primi scavi archeologici
cominciarono nel 1928 per volere di Mussolini, le ricerche continuarono poi
durante il comunismo.
Il battistero e la basilica di
età paleocristiana, l’anfiteatro greco, ai piedi dell’acropoli, le terme e il
forum di epoca romana, la fortezza medievale, testimoniano il passaggio di
culture diverse che hanno segnato questi luoghi.
Nella storia troviamo le nostre
radici, la ragione della nostra civiltà e del nostro presente, il senso di
appartenenza; così mi domando, quale futuro potrebbe avere un popolo se privato
della propria storia?
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