Atterro a Tehran, c’è un gran movimento di
persone e bagagli. Tutte noi donne, prima di scendere dall’aereo raccogliamo scrupolosamente
i capelli sotto i foulard. Io indosso una lunga sciarpa nera coprendomi il
capo.
Attraverso la "women’s inspection" insieme alle altre
passeggere e già sento a pelle quella strana sensazione di essere donna in un paese
di uomini.
Tehran è una città moderna con i suoi 8 milioni
di abitanti, 20804 grattacieli, uffici, edifici
in costruzione, una vera metropoli. E’ il
centro economico dell’Iran in cui fra settore pubblico e privato si concentra
circa il 70% della forza lavoro.
I grandi parchi, i boulevard sono affollati,
uomini e donne sembrano camminare su percorsi paralleli.
Seguo il fiume di macchine e smog
e arrivo alla metropolitana, un dedalo di linee. Lungo il binario l’addetto alla
security mi invita a sedermi nello
spazio riservato alle donne.
Ho la
sensazione di non essere mai al posto giusto…
Mi ritrovo inghiottita da un gruppo di giovani
studentesse in chador. Sono allegre mi guardano con stupore candido ci sorridiamo
complici, nella nostra diversità.
Al di la della paratia ci sono gli uomini: un
mondo a parte.
Mi rendo conto che incontrare donne in chador non
è affatto un evento eccezionale! Secondo la cultura locale il velo è una forma
di rispetto nei confronti della donna.
Ma quale donna? Quella che non può decidere
autonomamente di viaggiare o lavorare o scegliere qualsiasi indirizzo
universitario? Quella donna che non può avere la custodia dei propri figli in
caso di divorzio?
Un paese dove appaiono difficili da conciliare le
parole del presidente Hassan Rouhani che afferma
"Le donne devono godere di uguali opportunità, protezione e diritti
sociali degli uomini"con quelle guida suprema dell'Iran l'ayatollah Ali
Khamenei –che ha ribadito "l'uguaglianza di genere è uno dei più grandi
errori del pensiero occidentale, il
ruolo femminile "in casa e nell'ambiente familiare".
Un “face to face”, una
partita tutta da giocare…..una grande scommessa.
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