Ancora un caso di violenza estrema
sulle donne, proprio qui nella mia città.
I giornali locali in prima pagina, “Trento sotto shock: uccide compagna
e figlia di lei, gli amici e i conoscenti dicono: Erano una coppia
normalissima, che amava passeggiare e andare in bicicletta”.
La riflessione sulla violenza nei
confronti delle donne in questi ultimi anni ha evidenziato come causa sociale “la
tendenza del maschio a non considerare le donne come soggetti indipendenti con
il diritto di autodeterminarsi”.
Il femminicidio un crimine fisico
e morale, come forma di esercizio di potere e annientamento della donna
previsto e sanzionato dalla legge, è un fenomeno che resiste nel tempo e in
tutte le culture.
Minacciare, umiliare, attaccare
l’identità e l’autostima delle donne non parrebbe proprio un fenomeno di
nicchia, quell’eccezione che conferma la regola…In Italia i dati sul
femminicidio parlano chiaro una vittima
ogni tre giorni.
Una violenza che deve essere
conosciuta e riconosciuta in tutte le sue manifestazioni, che nasce dal senso
di possesso e dalla disistima.
Ma il potere che l’uomo esercita
sulla donna è davvero da considerare un’eccezione, un disturbo della
personalità, comunque giustificabile almeno sotto il profilo psicologico o
invece è un prodotto sociale?
Perché noi donne siamo sempre
pronte a giustificare i nostri carnefici fino al gesto estremo? Cosa ci spinge
alla sopportazione e al martirio? Perché restiamo spesso mute e incapaci di
reagire di fronte alla prevaricazione di uomini che odiano le donne?
A fronte di questa inerzia c’è
quindi da meravigliarsi delle parole di Arguello che al family day lo scorso
giugno ha candidamente affermato “Il femminicidio è colpa delle donne che non
amano i mariti”?
Donne e uomini vittime carnefici,
ancora schiavi degli stereotipi riusciranno a superare le reciproche paure,
ricomponendo i loro ruoli?
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